Amici del litorale romano, dopo la recente visita al TEATRO DEL LIDO, ho intervistato Valeria Tofanelli e Lorenzo Catena, due ragazzi della street photography autori dell’ambizioso progetto #mareterno, durato più di un anno all’interno del nostro territorio e che ha dato seguito anche ad un libro (acquistabile su: eyeshotstreetphotography).

Hanno sondato il litorale dal punto di vista esterno, un occhio spesso velato da quel che viene pubblicato nelle cronache giornalistiche, scoprendo una città dentro la città e svelando il nostro amore per questo quartiere che difficilmente riusciamo ad abbandonare per andare a vivere altrove e che effettivamente, tutto questo nero, non è così reale.

 

Voi non siete di Ostia, come è nata la vostra idea e soprattutto quando è nata?

L’idea di creare un corpo di lavoro su Ostia nasce a febbraio 2020. L’intenzione iniziale era quella di approfondire il legame tra il confine naturale della città, il mare, e la parte urbana di Ostia, nonché il suo rapporto con il resto della capitale. Immediatamente dopo è subentrato anche il desiderio di analizzare il territorio rivolgendo particolare attenzione ai numerosi  pregiudizi che nel tempo hanno interessato Ostia. Possiamo dire che tutto il nostro lavoro ha avuto come obiettivo quello di comprendere se fosse possibile mettere in discussione molti dei preconcetti legati a questa parte di Roma.

 

La vostra è “street photography”, ma i soggetti sono stati immortalati di nascosto o sapevano di esser protagonisti e di finire in questo progetto ed in un libro?

L’approccio seguito nel progetto ingloba tutte le nostre conoscenze acquisite come fotografi di strada, ma si spinge anche oltre i confini canonici associati a questo genere. 

Pur muovendoci in uno spazio definito, la gran parte delle foto è nata da incontri del tutto casuali avvenuti lungo il litorale o nella parte urbana di Ostia. Fatta eccezione per alcune situazioni specifiche, l’imprevedibilità è stato un fattore determinante nel nostro lavoro, come avviene nella fotografia di strada. Durante i nostri tragitti ci siamo spesso lasciati guidare dal caso ed è stata proprio quella imprevedibilità che ci ha permesso di scoprire situazioni spesso inaspettate o a noi ignote. Una parte delle foto è stata scattata in modo spontaneo, soprattutto quando si desiderava cogliere alcune situazioni di per sé irripetibili. 

Tuttavia in questo caso vi era anche la necessità di sviluppare una linea progettuale, che puntasse a raccontare e ad approfondire un territorio che, pur essendo vicino casa, conoscevamo molto poco. Dopo vari approfondimenti e confronti portati avanti durante il lock down del 2020, ci siamo trovati concordi nel ritenere che l’interazione con le persone potesse essere la migliore occasione per immergerci a pieno nel contesto di Ostia e per restituire una visione sincera e personale dell’esperienza che stavamo vivendo. Tutte le persone incontrate e fotografate sapevano del libro, hanno ricevuto le foto che li ritraevano e sono state successivamente ricontattate per il consenso alla pubblicazione. 

Sul piano fotografico il risultato è stato variegato, come del resto si presenta il territorio di Ostia. Penso che il risultato finale sia stato quello di aver applicato il nostro bagaglio di conoscenze legate alla street photography anche ad altri approcci fotografici, senza porci alcuna restrizione. 

La scelta ha portato a realizzare un lavoro meno focalizzato sul concetto dell’attimo decisivo, tipico della street photography, e più orientato a creare la narrazione di un luogo evocando sensazioni e suggerendone una visione diversa da quella a cui siamo solitamente abituati.

 

Avete riscontrato difficoltà durante il lavoro? Zone vietate, persone che si sono rifiutate di esser riprese o altro

Nel complesso non abbiamo riscontrato particolari resistenze. Prima di scattare approcciavamo sempre alle persone spiegando ogni cosa del nostro lavoro e chiedendo il permesso di fotografare. Siamo sicuri che questo atteggiamento ci abbia aiutato ad ottenere maggiori consensi rispetto all’ipotesi in cui avessimo fotografato non curandoci dell’interazione con i soggetti interessati. Se qualcuno non desiderava farsi fotografare andavamo oltre o al più provavamo delle inquadrature per non rendere la persona riconoscibile. Alcuni gestori ci hanno vietato di fotografare gli stabilimenti, ma sono stati dei casi davvero isolati. 

 

Quali aneddoti ci raccontate rispetto all’interazione con la gente di strada in un territorio così diverso da zona a zona?

Abbiamo avuto modo di conoscere persone anche molto diverse tra loro, ognuna caratterizzata da un diverso modo di vivere il mare, per svago, per scelta o per necessità. Abbiamo riscontrato disponibilità e curiosità soprattutto nei ragazzi che incontravamo in giro. Erano incontri estemporanei che duravano il tempo per realizzare le foto, dopodiché inviavamo loro gli  scatti. Con molti di loro ci seguiamo ancora su Instagram.  

Diversa invece è stata l’esperienza dell’Idroscalo, dove abbiamo avuto la fortuna di essere accolti per un lungo periodo dalla famiglia di Franca Vannini. Abbiamo trascorso interi pomeriggi a dialogare ed ascoltare le loro storie e le loro battaglie che ancora adesso portano avanti per poter continuare a vivere in quella che loro chiamano con orgoglio Punta Sacra. Abbiamo preso coscienza di quanto sia radicato il loro senso di comunità e di appartenenza a quel luogo e delle ferite che si portano dietro dal primo sgombero del 2010. Possiamo dire che con loro abbiamo avuto la conferma definitiva che è possibile sradicare un pregiudizio lì dove vi sia il desiderio di non limitarsi alla superficie delle cose. 

 

Qual è l’aspetto che più vi ha emozionati?

Sicuramente il rapporto con le persone ci ha permesso di vivere un’esperienza umana che è andata anche oltre la fotografia. Abbiamo vissuto situazioni che a inizio del progetto non avremmo mai immaginato e questo è stato possibile grazie alla disponibilità mostrata da gran parte delle persone conosciute. 

Abbiamo dei bellissimi ricordi anche dei pomeriggi e delle sere invernali trascorsi sul litorale, quando il paesaggio era così lontano dagli scenari estivi da sembrare surreale, permeato da una poetica unica.

 

In che modo le vostre aspettative sono state smentite o confermate, visto che il nostro territorio è, purtroppo, “famoso” in tutta Roma che la cronaca impietosamente ci dipinge?

Quando abbiamo iniziato il progetto eravamo a conoscenza degli eventi che hanno tristemente segnato Ostia, etichettandola come un luogo pericoloso e denso di criminalità. Da ciò che leggevamo documentandoci sembrava che questo potesse essere l’unico punto di vista possibile per raccontare questo luogo. Noi per primi abbiamo iniziato il lavoro con dei preconcetti che inevitabilmente rischiano di insinuarsi nella percezione di ciascuno, soprattutto perché alimentati dai mass media. Il nostro obiettivo è stato quello di vivere in prima persona il territorio per sradicare molti di questi pregiudizi. La conclusione a cui siamo arrivati è che, pur non negando delle criticità legate a questo territorio, così come al resto della capitale, è possibile offrire una visione di Ostia diversa da quella a cui siamo abituati e che bellezza e fragilità possono coesistere in uno stesso luogo.

 

Qual è la foto che più ha emozionato ognuno di voi e perché?

VALERIA: ve ne sono diverse, proporrei questa per la peculiarità della scena. Mi trovavo in spiaggia sotto una pioggia invernale e non mi aspettavo di trovare una persona camminare da sola nel pieno del temporale. Ho avvertito un senso di stupore e malinconia, che penso rispecchi bene il contesto, sia per la dimensione emotiva che avverto di solito davanti al mare invernale, sia perché è stata l’ultima foto scattata prima del lock down di marzo 2020.

 

 

 

LORENZO: è vero ce ne sono diverse di fotografie dalle quali scegliere, ma anche io scelgo una delle ultime foto scattate prima del lock down di Marzo 2020. Si tratta di una scena spontanea di due bambini che giocano a nascondino tra le cabine blu del lido Orsa Maggiore. Scattare questa foto mi ha emozionato perché ricordo che quel momento non finiva mai e mi sentivo anche io partecipe. In più penso che riuscire a fermare in uno scatto il gioco del nascondino, unito al gioco delle gestualità’ e delle cromie sia una cosa rara.

In un certo senso dopo queste foto il nostro modo di fotografare si e’ evoluto anche a causa della pandemia, e anche per questo ogni volta che la guardo mi emoziona. 

 

 

Soprattutto, quale foto ha dato più emozioni tra le persone ritratte e quale tra il pubblico che ha visitato le vostre mostre?

VALERIA: penso questa. L’incontro con queste due ragazze è tra quelli che mi sono rimasti maggiormente impressi. La cosa più interessante è che la foto ha suscitato diverse interpretazioni in chi l’ha guardata, a volte anche molto lontane da ciò che stava realmente accadendo nella scena e questo mi fa molto piacere perché negli scatti cerco spesso un’ambiguità che renda la foto aperta all’immaginazione di chi la guarda. 

 

 

LORENZO: Paradossalmente nelle mostre che abbiamo fatto fino ad ora avevo pochi ritratti esposti, penso che però la foto che ha emozionato di più il pubblico sia quella della piscina del Kursaal, in versione estiva. La foto ritrae una persona che si tuffa dal trampolino più alto della struttura iconica del lido, e tutte le altre persone, in religioso silenzio e attesa, lo guardano con ammirazione e stupore. Inoltre il corpo teso del tuffatore fa eco ad una parte della struttura architettonica, creando un link non immediato ma presente nella composizione generale. Penso che questo scatto abbia emozionato particolarmente perché contiene cosi tanti dettagli e mini storie dentro un singolo scatto e di conseguenza il singolo attimo si espande e si possono apprezzare tante altre situazioni che ci erano sfuggite quando lo stavamo vivendo. Il fatto di averla stampata in un formato grande fa in modo che lo spettatore si può avvicinare davvero alla foto e quasi immergersi in quella scena.  

 

 

L’area del X municipio non è piccola e presenta molte differenze da spiaggia, palazzi, pineta (una delle più vaste d’Italia con i suoi 916 ettari) … voi su che zona vi siete concentrati? E perché?

Il progetto si concentra principalmente lungo il litorale romano, da Castel Porziano all’Idroscalo. La spiaggia ci interessava perché è il principale punto di contatto tra Ostia e il resto della capitale, poiché accoglie sia chi vive in questa zona sia chi proviene da altre parti della città per trascorrere dei momenti di svago. Tuttavia il libro comprende anche foto scattate nella zona urbana, allo skate park o nella pineta per dare un respiro più ampio a ciò che stavamo raccontando.

 

Una domanda che vi ho fatto anche durante l’incontro al TEATRO DEL LIDO e che ripropongo per i nostri interessati fotografi d’Italia che magari amano la street, quale attrezzatura avete usato? E come mai avete scelto proprio questa?

Abbiamo usato entrambi una Fujifilm Xt-20 con obiettivo 18-55mm. Considerando la nostra natura di fotografi di strada,  i lunghi tragitti che percorrevamo ogni volta e la varietà di scene che incontravamo abbiamo ritenuto che questa attrezzatura fosse la più comoda e versatile.

 

Il periodo di lavoro è stato scelto a tavolino prima di iniziare il progetto o è “venuto da sé” nella vostra permanenza sul litorale?

Ben poco di questo lavoro è stato scelto a tavolino, compreso il tempo. Quando abbiamo iniziato eravamo sicuri  di pochissimi aspetti, ossia che il lavoro avrebbe riguardato Ostia e che sarebbe stato destinato alla pubblicazione di un libro. Sapevamo anche che volevamo raccontare il territorio durante tutto l’anno, rappresentando l’alternanza ciclica delle stagioni.

Tutto il resto è stato studiato e scoperto mano mano che scattavamo e parlavamo con le persone che incontravamo. Non ci siamo dati fretta, tuttavia il lavoro è terminato a giugno 2021 su indicazione dell’editore per preparare il lavoro alla stampa. 

 

Avete già idee su progetti futuri che coinvolgano, ad esempio, altre città o altri quartieri della nostra capitale? CLICK FOR ITALIA abbraccia tutto il nostro stivale e ci sono realtà ugualmente interessanti, sempre che ce ne possiate parlare, magari è un segreto che svelerete a lavoro finito.

Proseguiremo per le nostre strade, dedicandoci a dei lavori individuali. Svilupperemo delle idee attualmente in cantiere che in parte continueranno a interessare Roma e in altri casi potranno riguardare anche altre zone del mondo o d’Italia, ma per ora attendiamo che prendano maggiore concretezza.

 

Intervista a cura di Fabrizio D’Orazio

 

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